Usi e cerimoniali della cucina Arbereshe

Pubblicato: 09/11/2023

Iniziare un itinerario alla scoperta delle tradizioni e della cucina di popoli che hanno i loro natali in nazioni estere, seppure oramai, stanziali geograficamente e politicamente nella Nostra penisola Italiana, è forse il modo più gradevole per accostarsi e conoscere le culture proprie di questi popoli. L’Arberia, nei suoi aspetti più inesplicabili e semplici, antichi e fiabeschi, non è solo appariscenza paesaggistica e naturalistica, ma anche di buona cucina. 

Usi e cerimoniali della cucina Arbereshe

Secondo il diritto consuetudinario dei gruppi montuosi dell’Albania, contenuto nelle pagine del Kanun, la casa di ogni Albanese è di ‘Dio e dell’Ospite’, al quale si fa onore offrendogli pane, sale e cuore. La cucina degli arbereshe, rispetto ad altre culture alimentari estere (presenti in Italia), probabilmente, ancora oggi, si pone in una posizione privilegiata perché non contaminata dalla nuova società industrializzata ma rispettosa delle proprie tradizioni, ricche solamente dei prodotti della terra.

Molto è restato della sua tipicità originaria, sapori ed odori, in altri luoghi e da tempo dimenticati. Una cucina nata povera, ma con una preparazione originale ed una presentazione suggestiva; un insieme di rituali anche religiosi, che a volte, anche con presupposti pagani e superstiziosi, in nesso con l’uso simbolico di alcuni ingredienti e preparazioni alimentari quasi cerimoniali, velano l’atmosfera di un tempo passato, non priva di sottili incanti, nell’intimità del focolare domestico.

Cose semplici e quotidiane, storie e miti narrati al chiarore di una lampada ad olio, con la nonna china ad ammassare il pane o preparare i mostaccioli – mentre racconta fiabe ai suoi nipoti; o come i contadini che, sacralmente, a piedi nudi e con i polpacci scoperti, di notte, a contatto con la feconda terra, adacquano le orture e le raccolgono alla mezzanotte al chiaro di luna, rientrando all’alba con i panieri carichi dei frutti dei loro campi.

Infondo, lo spirito essenziale delle tradizioni popolari rimane sempre quella ‘refezione contadina’, fatta di duro lavoro e di silenzio. Vita primitiva e credenze, che hanno un legame indissolubile con la cucina ‘casalinga’. Nelle fumose cucine rurali delle comunità albanesi quindi, ove la tradizione culinaria nasce dalla cultura della cucina semplice, sana e naturale, pregna dei profumi e degli odori delle piante aromatiche e delle spezie, del pane, del formaggio, del vino rosso e degli insaccati dei propri greggi ed armenti, è una mescolanza di saggezza e di esperienza gastronomica secolare di grande rispetto.

Gli Italo-Albanesi o Arbereshe, cospiqui nei loro 54 insediamenti nel Nostro Bel Paese, tutti nel Centro-Sud, ed esuli da oramai più di cinque secoli, costituiscono un’identità etnico-sociale e linguistica gelosamente legata alle loro tradizioni (costumi, canti, folclore e tradizioni).

La loro emigrazione avvenne in più fasi dopo l’invasione turco-ottomana; la più grande, attorno alla metà del 1468, dopo morte del loro Eroe Nazionale Giorgio Kastriota Skanderbeg.

Essenzialmente, seppure già da tempo caratterizzata da una forte influenza cristiana, la dottrina greco-ortodossa è rimasta fortemente radicata negli usi e costumi religiosi degli Albanesi d’Italia, con conseguenti cerimonie che nonostante sottolineino quelle della cristianità, denunciano una marcata valenza di sfumature più originali e rigide di una ortodossia rituale bizantina.

La commemorazione dei defunti ‘TE VDEKURIT’ per esempio, così come tante altre che vi invito a ricercare e riscoprire, ne è una prova; il culto dei morti, secondo il rito bizantino, è commemorato il sabato, ad undici giorni dalle ceneri. La consuetudine vuole che, il Cristo, per i successivi otto giorni, permetta alle anime defunte di poter ‘spiriticamente’, far ritorno ai luoghi dove sono vissute.

Al ciò, tutti i credenti che hanno perso qualcuno, accendono una lampada ad olio nelle proprie abitazioni, affinché il defunto, venga guidato dalla luce presso la propria casa terrena. Articolati e molto suggestivi sono i rituali che si susseguono nei giorni successivi, come la benedizione dei ‘panajia’ (grano bollito) da parte del Papas Zoti (il sacerdote), che successivamente verrà sparso su fette di pane caldo (appena sfornato); mense apparecchiate con piatti di grano, vino e pane, (Koliva) che verranno distribuiti alle famiglie del vicinato.

Oppure il rituale del sabato precedente la domenica di Carnevale, con simposi durante feste popolari che richiamano le Antesterie in onore di Dioniso; ancora oggi infatti, è viva la tradizione di recarsi in processione al cimitero e di consumare cibi e bevande sulla tomba dei parenti, dove uomini in cerchio intorno alla stessa, dopo aver versato un bicchiere di vino su di essa, pronunciano la frase: ‘per shpirtin e tij’, quindi, mangiano e bevono in memoria del defunto. Si rinnova, così, una tradizione che testimonia i valori di solidarietà del popolo arbereshe; offrire e consumare chicchi di grano (spernà), è 'ora come allora' senz’altro un atto propiziatorio che possa favorire la crescita dei seminati. Tant’è che, il chicco del grano, simbolicamente, viene proprio assonato ad una rinascita germogliante di nuova vita, dalla corruzione del corpo fisico in decomposizione.

Solitamente, in coincidenza con il periodo di San Martino, un piatto tipico della cultura arbereshe che potrebbe capitare di assaggiare o di veder preparare, sono per l’appunto: le tagliatelle di San Martino ‘Tumac ka Shen Murtiri’.

Ingredienti e Preparazione per 4 Persone

  • kg 1 di farina
  • 3 uova
  • sale q.b.;
  • kg 1 di coscia di agnello
  • 1 cipolla
  • 1 spicchio d’aglio
  • 400gr. passata di pomodoro
  • 200gr. di formaggio pecorino

Con la farina fate una forma di ciambella, al centro aggiungete le uova, due pizzichi di sale e lavorate l’impasto fino a renderlo consistente.

Con il mattarello stendete una foglia sottile. Nel frattempo che la sfoglia si rassetti ed asciughi, tagliate le cosce d’agnello a pezzetti ed in una padella fate rosolare  l’aglio e la cipolla a fuoco lento; quindi aggiungeteci l’agnello e fate cuocere a fuoco lento per una ventina di minuti e successivamente, quando l’agnello inizia a dorarsi, aggiungete il passato di pomodoro e proseguite la cottura a fuoco lento.

Attendete fin quando la carne dell’agnello non venga via facilmente dall'osso, calate le tagliatelle preventivamente tagliate in abbondante acqua calda e fate cuocere; a cottura, scolate ed accomodate le tagliatelle su di una sperlonga, cospargetela di formaggio pecorino, versateci sopra il sugo appena fatto, mescolate e spargeteci il resto del formaggio pecorino.

Servite subito ed accompagnate la portata con del vino rosso corposo.

Buon appetito.

Emilio FERRARA



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