Il dolce di Cenerentola

Pubblicato: 12/04/2021

La pastiera napoletana 

Il dolce di Cenerentola

La pastiera, bontà voluttuosa, grassa, sciantosa, maliziosa e provocante come una bella donna napoletana ce la racconta la “pezzotta”, una napoletana non originale direbbero gli autoctoni, spuria.

Nata e cresciuta al confine tra due province campane, la “pezzotta” la ricorda con il detto tanto caro ai napoletani del Sud magnatell ‘na risata, ossia mangia una risata che eufemisticamente vuole significare “sforzati, ridi un po’, che non ti fa male”.

Già nel seicento il novelliere napoletano, Giovan Battista Basile, ne parla nella favola La Gatta Cenerentola, inclusa nell’opera magna Lo cunto de li cunti (Il racconto dei racconti): “E, venuto lo juorno destenato, oh bene mio: che mazzecatorio e che bazzara che se facette! Da dove vennero tante pastiere e casatielle”; si rievoca il banchetto che il re aveva organizzato per ritrovare la fanciulla Cenerentola.

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento il gastronomo e filosofo adottato a corte borbonica Vincenzo Corrado, ne scrive con precisione accademica nell’opera magna Il cuoco galante dove riporta, con novizia di particolari, la ricetta della torta di frumento“.

” Ammollito bene il frumento in acqua, cotto in brodo e freddato, si mescolerà con panna di latte, gialli di uova, giulebbe (acqua di rose, dall’arabo medievale ǧulāb), cedro pesto, e sciolto con acqua di fiori d’aranci, con senso di ambra e d’acqua di cannella; si metterà nella cassa di pasta, la quale si coprirà con altra pasta a strisce, e si farà cuocere.”

Facciamo un salto nel tempo, al 1837 e aggiungiamo ‘o fattariello un pizzico di fantasia culinaria: si narra che il re Ferdinando II di Borbone e Maria Teresa d’Asburgo-Taschen siano stati uniti in matrimonio (in seconde nozze avvenute a seguito della morte della regina Maria Cristina di Savoia, prima moglie del re Ferdinando) proprio dalla galeotta pastiera napoletana.

Maria Teresa soprannominata “la regina che non sorride mai”, poco avvezza al cerimoniale di corte ed ai salamelecchi della nobiltà borbonica, cedette dinanzi ad una fetta di pastiera offertale dal marito Ferdinando. Apprezzata la bontà del dolce la regina finalmente sorrise tanto che il re, si dice, si espresse:

 “Chistu dolce te piace eh? E mò c’ ‘o saccio
ordino al cuoco che a partir d’adesso,
stà pastiera la faccia un pò più spesso.
Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno;
pe te fà ridere ha dda passà n’at’ anno!

TRADUZIONE: Ti piace questo dolce? Ed ora che lo so, ordinerò al cuoco che da ora questa pastiera si farà un po’ più spesso. Non solo a Pasqua, ché altrimenti è un danno, perché per farti ridere dovrò aspettare un altro anno!

Ma tante sono le leggende partenopee che fanno risalire l’origine della pastiera addirittura alle suore del convento di San Gregorio Armeno che i lettori ricorderanno per la famosa strada dei presepi e dei pastori.

Si racconta che le consorelle dell’ordine benedettino, nel XVI secolo, fossero alla ricerca di un dolce a base di uova che rappresentasse nella simbologia cristiana la nascita a vita eterna dell'uomo attraverso la morte e Resurrezione del Figlio di Dio. Grano e miele, frutta candita, ricotta, crema pasticcera, ingredienti poveri della tradizione napoletana, già comuni per altre leccornie del periodo, bisognava solo amalgamarli per benino - non si utilizzava il burro ma il grano cotto e l’amido derivante dalla cottura -, e la pastiera era bella che pronta divenendo dolce prelibato per i sopraffini palati aristocratici.

Le uappe, venditrici ambulanti di grano cotto, passate alla storia col nome di Pascarella (derivante da Pasqua), iniziarono ad apparire agli angoli delle strade.

Forse quella testè descritta è l’origine cattolica più accreditata anche se antiche tracce si rinvengono nella mitologia, per i festeggiamenti primaverili in onore di Cerere. Per celebrare la “rinascita di Madre Terra”, era prassi portare in processione simboli primaverili.

O della ammaliante sirena Partenope che pare avesse individuato il golfo disteso tra Posillipo ed il Vesuvio come la sua dimora e ad ogni primavera, per salutare gli abitanti del posto, emergeva dalle acque, allietandoli con canti d’amore e di gioia.

Un giorno, la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti, tanto che accorsero verso il mare per donarle quanto di più prezioso avessero. Le sette più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnare sette simbolici doni alla meravigliosa sirena: la farina, forza e ricchezza della campagna; la ricotta, omaggio di pastori e pecorelle; le uova, simbolo della vita; il grano tenero, bollito nel latte, a prova dei due regni della natura; l’acqua di fiori d’arancio, omaggio dai profumi della terra; le spezie, in rappresentanza dei popoli più lontani e lo zucchero rappresentante l’ineffabile dolcezza profusa dal canto di Partenope in cielo, in terra, ed in tutto l’universo.

La sirena, felice per i tanti doni, si inabissò per fare ritorno alla sua dimora cristallina e depose le offerte preziose ai piedi degli dei che, inebriati dalla moltitudine di profumi e dagli aromi, mescolarono i vari ingredienti per creare un dolce che potesse eguagliare la bellezza di Partenope e la dolcezza del suo canto a cui diedero il nome di Pastiera Napoletana in omaggio alla sirena.

Napoli è la città del mare e la pastiera, la pasta ‘aier, pasta di ieri, la merenda dei pescatori. Altra tradizione leggendaria ricorda le mogli dei pescatori che lasciavano sul bagnasciuga i famosi sette ingredienti come “dono al mare”, affinché i loro mariti ritornassero sani, salvi e con le reti piene. In un giorno di tempesta le mogli videro ritornare i loro mariti con le reti piene, ed in più si videro restituire dal mare, che durante la tempesta aveva mischiato gli ingredienti, una bella pastiera.

Quale sia il mito, è chiaramente evidenziato il forte legame tra la ricetta e gli antichi riti pagani a celebrazione della primavera: il frumento per simboleggiare un augurio di ricchezza e fecondità, le uova per la vita primordiale che prende forma, la farina per la ricchezza, la ricotta per l'abbondanza, i fiori d'arancio per il profumo della terra campana, lo zucchero per la dolcezza.

La pastiera con la sua funzione votiva è l’emblema del ringraziamento e della gratitudine verso le divinità.

Nella sua ricetta tradizionale la pastiera napoletana è composta, da questi ingredienti imprescindibili: guscio di pastafrolla sovente arricchito con sugna (grasso di maiale), ricotta (sia di pecora che vaccina, setacciata con zucchero), frutta candita, chicchi di grano cotti nel latte (o grano passato) uova ed essenze, che possono essere i fiori d’arancio o anche spezie come la cannella.

Assomiglia un po’ ad una crostata, anche per le striscioline di pastafrolla messe a mo’ di reticolato stradale, che in effetti potrebbero rappresentare la planimetria di Napoli, almeno secondo alcuni.

Altra variante ad arricchire il ripieno è la crema pasticcera anche se non molto apprezzata dagli integralisti. La grandezza giusta per una pastiera, in realtà, non esiste: però un diametro di 26 cm o da 33 cm (circa una pizza) garantiscono una torta di altezza ed umidità giuste.

Per i più golosi ecco la ricetta

PER LA PASTA FROLLA
250 grammi di farina
un pizzico di sale
125 grammi burro
125 grammi zucchero a velo
2 uova
1 bustina di vanillina
1 limone non trattato (scorza)

PER IL RIPIENO
250 grammi di grano
200 millilitri di latte
20 grammi di burro
1 scorza di limone
300 grammi di ricotta di pecora
200 grammi di zucchero
4 uova (2 intere + 2 tuorli)
1 bustina di vanillina
½ bottiglietta di acqua di fiori d’arancio

PER LA CREMA PASTICCERA
250 gr di latte
50 gr di farina
2 tuorli
80 gr di zucchero
scorza limone non trattato

PREPARAZIONE

Preparate la pasta frolla versando la farina precedentemente setacciata nel mixer, aggiungere un pizzico di sale, il burro e azionare il mixer finché il composto non sarà amalgamato e avrà assunto una consistenza sabbiosa.

Aggiungere al composto lo zucchero a velo, le uova, la vanillina, la scorza grattugiata del limone e impasta per bene per fare amalgamare gli ingredienti.

Lavorare il composto a mano su una spianatoia sporcata di farina, fino ad ottenere un panetto compatto, liscio ed omogeneo. Avvolgere il panetto nella pellicola e metterlo in frigorifero.

Scaldare in una pentola il grano, il latte, il burro e la scorza grattugiata del limone per 10 minuti a fuoco lento, fino a quando gli ingredienti non si saranno amalgamati.

Versare la ricotta, lo zucchero, le uova, la vanillina, e l’aroma di fiori d’arancio nel mixer e frullare il tutto fino a quando gli ingredienti non saranno ben amalgamati.

Mescolare i due composti nel mixer, in modo che il composto il grano possa raffreddarsi, aggiungere anche la crema pasticcera preparata precedentemente. Stendere la pasta frolla utilizzando una parte della pasta per realizzare delle strisce con l’aiuto di una rotella liscia o dentellata. Mettere il resto della pasta frolla in una tortiera in alluminio imburrata e infarinata, e creare un fondo fine e compatto, con un bordo laterale piuttosto alto, in modo tale che sia alla stessa altezza del composto.

Versare il composto nella tortiera facendo attenzione che il bordo laterale della pasta frolla sia alla stessa altezza del composto, e decorare la pastiera con le strisce di pasta frolla, formando il tipico disegno a rombi. Mettere la pastiera in forno preriscaldato per circa un’ora a 180°.

A cottura ultimata, spolverare con zucchero a velo e lasciar raffreddare la pastiera nella tortiera a temperatura ambiente e in un luogo fresco, consumandola preferibilmente il giorno dopo. La pastiera manterrà la stessa consistenza e lo stesso sapore per almeno 3/4 giorni. 

Dr.ssa Mariagrazia MAZZARACO



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