Vivere poveri è l'unico modo per morire ricchi

Pubblicato: 24/09/2022

Lc.16,19-31

Vivere poveri è l'unico modo per morire ricchi

Il vangelo di Luca in questa pericope scelta per la liturgia di questa domenica ci propone due personaggi principali: un ricco di cui non conosciamo il nome, perché non viene designato, e il povero Lazzaro. Già questo dato ci fa comprendere come, effettivamente, è al povero che viene data dignità da Dio, non al ricco egoista della parabola. Lazzaro ha un nome, cioè ha una dignità e in un certo senso, è privilegiato da Dio, non in quanto povero, ma in quanto, consapevole di non poter fare a meno della carità di Dio.

Il ricco invece è così distratto, così intento a godersi la vita in maniera ingiusta, da non meritare l’attenzione del Signore. Se vogliamo questa è la “parabola dell’umanità”, perché ancora oggi, noi sappiamo molto bene, quanta ingiustizia caratterizzi il nostro mondo: persone ricchissime, da un lato e poverissime dall’altro.

Questo ricco, così distratto e immerso nei suoi beni da non accorgersi della povertà, del dolore, della sofferenza di quel povero Lazzaro che gli sta accanto. C’è “un abisso” tra lui e il povero stesso!

In una società che si è così evoluta come la nostra, dove tutti appaiono sicuri, abili, tecnologizzati e informatizzati; dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri a farne le spese sono proprio i più deboli e i più vulnerabili. Il tempo che stiamo vivendo ne è una conferma. In effetti la pandemia, la guerra in Ucraina e le gravi ingiustizie perpetuate nel mondo, specialmente nei paesi più poveri del mondo, stanno contribuendo ad alimentare la distanza tra ricchi-ricchissimi e poveri-poverissimi.

Il braccio della povertà sta stringendo un po’ tutti. Anche quelle famiglie che prima avevano una certa dignità, ora stentano a vivere. Un po’ tutti viviamo momenti veramente difficili. Il ricco del vangelo è terribilmente indifferente e noi siamo in una situazione analoga, in una società che spesso è indifferente al grido del povero. Tra l’altro va detto con sincerità: anche tanti cattolici che si dicono cristiani - seguaci di Gesù Cristo – sono indifferenti dinanzi ai problemi e alle povertà di tante persone che sono loro accanto.

La richiesta di Gesù, allora, non è nel senso di una rivoluzione. Egli non vuole innestare un processo di rivendicazione, non vorrebbe che Lazzaro si ribellasse e rivendicasse con la violenza quanto dovuto per giustizia, no - anche se non è sbagliato che i poveri rivendichino e chiedano giustizia - ma piuttosto vorrebbe invitare quel ricco, in cui son rappresentati tutti gli indifferenti della terra, a fare un serio esame di coscienza.

Tutti coloro che vivono come se Dio non ci fosse, non hanno il Santo timore di Dio e non sono solidali con gli altri, sarebbero chiamati a rivedere le proprie scelte di vita e dare una svolta solidale per vivere la carità di Dio nel rapporto con gli altri. Quando quell’uomo ricco si accorge, troppo tardi, che ha sbagliato tutto e vorrebbe ancora, sbagliando, che Dio risolva tutto a proprio vantaggio e che Lazzaro vada a servirlo ancora per dargli sollievo con un po’ di acqua in mezzo alle fiamme, sente preponderante il bisogno opportunistico di avvisare i suoi parenti, i suoi amici di quella terribile prospettiva che spetta a coloro che non hanno avuto cuore per gli altri. Ma ormai non c’è più niente da fare perché non è la morte che salva ma la vita, cioè finché si è in vita. 

Il vangelo è molto chiaro: è il cuore dell'uomo che deve cambiare, non le strutture, non i sistemi. Io posso anche rivendicare, certo, ma fintanto che il mio cuore non cambia, fintanto che non si immette questa cultura nuova, evangelica della solidarietà, dell’amore verso il prossimo, questa “rivoluzione” della misericordia, dell’accoglienza del povero, noi non avremo mai quella credibilità che Gesù si aspetta da noi credenti.

Don Tonino Bello con i suoi famosi “auguri scomodi”, auspicava che in ciascuno credente maturasse il desiderio profondo di “vivere poveri”, che poi “è l’unico modo per morire ricchi”. Questa è la verità, il segreto della felicità e della beatitudine eterna.

 don Alfonso GIORGIO



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