Una Chiesa in rete

Pubblicato: 10/05/2022
Una Chiesa in rete

Il perdurare della pandemia ci sta facendo sperimentare al di là di ogni avversità l’importanza di incontrarci, di vederci, di toccarci, di abbracciarci. Quello che prima ritenevamo normale, magari scontato, oggi diventa desiderio, sogno ancora irraggiungibile.

E’ un periodo difficile, ma non per questo vuoto di significati. Anzi, la situazione contingente ci permette, paradossalmente, di entrare ancora più intimamente in contatto con Cristo: “connessi con Lui”. E’ un’occasione che il Signore ci offre per disporci a condividere la sua passione, ossia la totale consegna di sé. Potremo così imparare a consegnarci alla Sua volontà, e a constatare i fermenti di vita nuova, frutto della sua risurrezione, che oggi già alimentano la vita della Chiesa e del mondo, al di là delle privazioni che stiamo sperimentando. “Niente è impossibile a Dio” aveva dichiarato l’angelo a Maria e “niente accade senza che Dio lo permetta”, scriveva Madelaine Delbrêl[1].

Valorizzazione della crisi come tempo di sfida

Papa Francesco ha commentato che: “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi[2]”. In effetti quello che stiamo vivendo è un tempo in cui si può guardare avanti con fiducia senza tener conto di quanto accaduto, “come nulla fosse” oppure prendere coscienza della situazione ed evitare la fuga verso utopie consolanti e irraggiungibili. Sicuramente il modo più giusto per affrontare la realtà è  non sottrarsi ad una necessaria riflessione: la co-essenzialità del limite alla nostra dimensione di essere umani e, per altro verso, l’osservazione delle miserie del tempo presente, che nonostante tutto ha avuto impatti significativi anche sulla nostra dimensione interiore. Se l’urgenza dei molteplici  problemi del presente e quelli ampliati dalla pandemia ci impedisce di guardare lontano e di scavare nella nostra interiorità, dove si attingono quelle risorse necessarie per progettare e programmare insieme un futuro migliore, la storia ci insegna  - come è accaduto durante e dopo le guerre - che proprio durante o all’indomani di grandi tragedie la nostra civiltà è stata capace non poche volte di rialzarsi e concepire i progetti e le visioni migliori, impegnandosi ad attuarli con libertà di spirito e leale collaborazione.

Urge, allora aiutarsi vicendevolmente nella ricerca dei segni di speranza, dentro la complessità di questo tempo che dobbiamo assolutamente decifrare, seppure con grande fatica. In quanto credenti, infatti non possiamo tralasciare questa occasione di ripensamento missionario della nostra pastorale, del nostro modo di fare associazione e del nostro agire ecclesiale, oltre che l’occasione preziosa di un confronto sereno con gli uomini e le donne del nostro tempo che, a volte, attendono proprio da noi qualche risposta o una corretta interpretazione degli eventi.

Tutto è connesso

Intanto la tecnologia c’è ed è conosciuta ormai da tutti. E’ una modalità dalla quale non si può prescindere se si vuole mantenere un minimo di contatto con gli altri; nessun ambito aggregativo può farne a meno: prima fra tutti la scuola oltre al mondo del lavoro, il mondo ecclesiale, le varie amministrazioni, ecc.  

Nell’uso dei mezzi tecnologici è entrato in gioco in modo potente un fattore personale non esclusivamente riducibile ai soli termini anagrafici. Nel valutare la confidenza e la facilità con cui i nuovi strumenti vengono utilizzati, la differenza tra le nuove generazioni (i cosiddetti nativi digitali) e le generazioni meno giovani è decisiva, ma non la sola. Va infatti aggiunta un’altra differenza che riguarda la sfera personale e cioè il livello di disponibilità  individuale verso il nuovo e la più o meno accentuata capacità di chiedere e ricevere aiuto da chi è più abituato alle tecnologie. Su questo terreno, nella situazione di estrema necessità che si è creata durante la pandemia, le generazioni più giovani (per così dire, i nipoti, o addirittura gli alunni affianco ai docenti più anziani) hanno spesso guidato quelle più anziane. Questa esperienza sta rivelando aspetti inediti e di grande valore in riferimento al dialogo tra le generazioni e la valorizzazione dei giovani. Si tratta di un dato importante, che sicuramente aiuta a ridimensionare posizioni pregiudiziali e a inquadrare più correttamente i termini della riflessione.

Abbiamo capito che si devono abbandonare gli schemi del comportamento a cui siamo abituati da tempo immemorabile e che, a fatica, riusciamo a lasciarci alle spalle. Gli strumenti ci sono ormai per tutti – salvo qualche eccezione – anche se in Italia non primeggiamo tra coloro che conoscono ed utilizzano le risorse digitali. Il virus, però, è stato capace di metterci subito sul terreno e al lavoro per entrare più rapidamente in questa rete quanto mai necessaria e irrinunciabile.

Siamo tutti connessi e “tutto è connesso”, quindi ci troviamo in una situazione nuova che mette in luce rapidamente i comportamenti e le scelte di tutti: l’impegno o il disimpegno dei singoli  e le ricadute  positive o negative sugli altri. Una situazione che, paradossalmente, muove più profondamente le coscienze, poiché il dovere di proteggere se stessi, nella rete, appare ancora più legato all’impegno di responsabilità verso gli altri.

don Alfonso GIORGIO


[1] A. M. M. Delbrêl, Invisibile amore, Piemme, Casale Monferrato 1994, 91

[2] Francesco, Omelia S Messa solennità di Pentecoste, 31 maggio 2020.



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