La messe è molta ma gli operai sono pochi

Pubblicato: 30/03/2022

Luca 10.2-3

La messe è molta ma gli operai sono pochi

La missione è passione per Gesù Cristo e allo stesso tempo passione per la gente. Con queste parole il Papa con il prossimo messaggio per la Giornata missionaria mondiale vuole sottolineare che, nella Chiesa, in un certo modo, si fa tutto per Cristo, per il Suo Regno e per il bene del suo popolo, specialmente per coloro che non hanno conosciuto l’Amore misericordioso di Dio e la bellezza del messaggio cristiano.

Ancora oggi, quando sentiamo parlare di missione, il nostro pensiero va subito ai missionari sparsi nel mondo e pensiamo solo alla missio ad gentes relegandola agli specialisti o a coloro che hanno una specifica vocazione missionaria. Dimentichiamo così che, a di là del  prezioso ministero, dei missionari che danno la vita per il vangelo, tutti, nella Chiesa, avrebbero il compito di evangelizzare. Tutti i cristiani dovrebbero comunicare quella gioia che si rinnova e si comunica, e tutti, specialmente i poveri e gli sfiduciati dovrebbero percepire sul volto dei credenti quella dolce confortante gioia di evangelizzare di cui ci parla ancora Papa Francesco (in EG nei nn.1-13).

Questa è la missione! Sentire nel cuore l’eco delle parole del Signore che constata questa necessità: “La messe è molta ma gli operai sono pochi” (Lc. 10,2). Dopo averne inviati tanti nel mondo, dopo aver suscitato innumerevoli vocazioni e toccato il cuore di tanti Gesù continua a dirci che “gli operai sono pochi”, specialmente oggi, in questo mondo così distratto e caratterizzato dall’individualismo e opportunismo.

I migranti bussano alle nostre porte. C’era da aspettarselo! Con la tratta degli schiavi prima e con le colonizzazioni poi, con la forza e nell’ingiustizia più totale, abbiamo tolto loro ciò di cui avevano bisogno. Per molti anni si è mantenuto in piedi un aberrante equilibrio di sottomissione fra Europa e Paesi in via di sviluppo. L’esproprio per più di tre secoli dal ‘500 all’800, con la violenza di decine di milioni dei suoi figli migliori e quando ormai il mondo più sviluppato e moderno non aveva più bisogno di schiavi quanto di materie prime, il terzo mondo diventava facile preda degli appetiti coloniali delle nazioni europee protrattisi quasi fino ad oggi (Cfr A. Giorgio, Sacramenti e inculturazione, Urbaniana, Città del Vaticano 2015).

Se ci pensiamo, un attimo, è scandaloso e aberrante quello che è stato fatto a questi nostri fratelli e sorelle. Le conseguenze sono state devastanti. Come cristiani non possiamo sottovalutare queste verità. In Mozambico, per esempio, fino agli anni settanta i portoghesi hanno ucciso per il denaro e il potere. Quando i capi delle tribù si rifiutavano di collaborare venivano loro tagliate le teste e messe su pali, lungo le strade dei villaggi, perché tutti vedessero, come monito per tutti, in modo da sottometterli ancora e scoraggiare ogni rivolta. Quando alcune donne si rifiutavano di sottostare alle angherie degli europei desiderosi di piacere venivano seppelite vive! Sono fotografie che ho visto con i miei occhi nel centro catechistico di Alùa in Mozambico. Io posso attestare che è vero e questo fino al 1976. E’ una vergogna! Erano cristiani! Cristiani erano anche i carnefici.

Se poi  si vuole andare indietro nel tempo basti pensare a ciò che dichiara Bartolomé de Las Casas con la sua condanna senza eccezioni del colonialismo e l’espansionismo degli europei, che viaggiando nelle terre americane attraversò molte volte l’oceano per portare in Spagna le sue proteste e il suo chiaro dissenso. Le sue descrizioni dettagliate degli abusi e dei soprusi dei conquistatores erano così chiare che non lasciavano scampo ad interpretazioni diverse dalla realtà:

«.. per mantenere i loro cani conducono molti indiani in catene ne i viaggi, che fanno, come se fossero branchi di porci, e ne ammazzano, e fanno publica beccaria di carne per darla in pasto ai cani, … come se si prestassero quarti di porco, ò di castrato; e si dicono l’uno all’altro; prestami un quarto d’uno di questi vigliacchi per dar da mangiare ai miei cani, fin ch’io n'ammazzi un’altro, castrato»  (B. De Las Casas, Istoria o brevissima relatione della distruttione dell’indie occidentali, M. Ginammi, Venetia, 1643, 62-63).

Senza esitazione il convertito de Las Casas denuncia tutte le afflizioni procurate agli indios e ai religiosi impedendo loro di evangelizzare poiché l’intento effettivo degli spagnoli era, di fatto conquistare.

Al di là di questa mia divagazione personale, che, spero,vogliate perdonare, ci accorgiamo che il Signore ama tanto questi nostri fratelli poveri e maltrattati. Oggi stanno dando prova di grande maturità spirituale,  perdonando  e lavorando sempre per la pace e per una graduale  rinascita.

Anche noi siamo chiamati ad essere operatori di pace; tutti dobbiamo portare la pace nel cuore e trasmettere la gioia del Vangelo, ai più emarginati, nelle periferie del mondo, tutti impegnati ad “includere” nella Chiesa e nella società, specialmente  coloro che vengono esclusi e disprezzati. Tutti, siamo chiamati ad accogliere – il Santo Padre ci ricorda che le nostre canoniche, i conventi, le nostre case, dovrebbero essere aperte ai poveri del mondo - e questo è il primo gradino della missione. Ma la missione più importante da svolgere come battezzati in Cristo, “è quella di mettere tutti, nessuno escluso, in rapporto personale con Cristo” (messaggio per la GMM 2015) ognuno secondo la sua personale situazione.

Ci si può meravigliare che Gesù mandi, ancora oggi, tanti discepoli davanti a sé, e la meraviglia aumenta quando ci accorgiamo che, secondo lui, sono pochi gli operai. Dice infatti che la messe è molta ma gli operai sono pochi. "Andate! Ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi” (Lc. 10,3). Cioè, andate! Non come conquistatori, ma come agnelli. Suggestiva quest’immagine e quanto mai necessaria oggi. Gesù vuole i suoi discepoli simili a sé, agnello muto di fronte a chi lo tosa; servo di Dio, non Signore nel suo ministero, pronto a donare la vita per gli altri. Agnelli, in mezzo ai pericoli e all'ostilità del mondo miti, pazienti, non violenti.

don Alfonso GIORGIO



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