Il pane della fatica e della benedizione nell’Antico Testamento

Pubblicato: 10/01/2022
Il pane della fatica e della benedizione nell’Antico Testamento

Cosa dice la Sacra Scrittura del pane? Dalla Bibbia non abbiamo che conferme in questo senso. A riguardo è sufficiente leggere il libro del Siracide che afferma: «indispensabili alla vita sono l’acqua, il pane, il vestito, una casa che serva da riparo” (Sir. 29,28).

Sin dal primo libro, in Genesi, appare abbinato al lavoro, alla fatica, in seguito al peccato dell’uomo: “Mangerai il pane col sudore del tuo volto”(Genesi 3,19), per cui l’abbondanza e la penuria nel sostentamento degli uomini saranno segno, rispettivamente, di benedizione (cfr. Sal 37,25; 132,15; Prov. 12,11) o di castigo del peccato (cfr. Ger. 5,17; Ez.4,16s; Lam. 1,11; 2,12). Nel rapporto con Dio diventa quindi fondamentale per l’uomo mettersi in atteggiamento recettivo e umile affinché non manchi mai il pane quotidiano. Gli stessi evangeli danno proprio questa lezione di umiltà per cui tutti abbandonandosi a Dio troveranno ristoro, desumendo da un salmo (78,25) l’espressione inequivocabile dell’abbondanza divina: “tutti mangiarono e furono sazi”(Mt.14,20; 15,37; cfr Gv 6,12), ed evocando così il “pane dei forti”, quel pane con cui Dio saziò il suo popolo nel deserto.

Il pane, però non va colto solo nella sua valenza intrinseca ed immediata di cibo quotidiano ma anche quale fondamentale strumento di salvezza, segno di eternità, dono promesso per l‘eternità ai singoli e alla comunità, nella prospettiva del Banchetto eterno promesso agli eletti del Signore. come è scritto in Geremia: “Verranno e canteranno inni sull’altura di Sion, affluiranno verso i beni del Signore, verso il grano, il mosto e l’olio, verso i nati dei greggi e degli armenti. Essi saranno come un giardino irrigato, non languiranno più” (Ger. 31,12).

Talvolta è il Signore stesso a causare la penuria di pane come è scritto in Amos:“vi ho lasciato a denti asciutti in tutte le vostre città e con mancanza di pane in tutti i vostri villaggi e non siete ritornati a me, dice il Signore” (Amos 4,6). Si sarebbe aspettato un ritorno a Lui ma, nonostante le privazioni e la fame, non si è attuato.

In Esodo è ancora più chiaro l’intervento di Benedizione del Signore quando fa piovere dal cielo la cosiddetta “manna” nel deserto. Una benedizione tangibile, in Esodo 16, 1-36, che si attuerà allorquando il popolo di Dio avrà riconosciuto la Sua Signoria. Il senso è spiegato in Deuteronomio: «Dio ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca di Dio» (Deuteronomio 8,3).

Sempre più nelle Sacre Scritture il pane assume un significato concreto e simbolico essendo considerato come un dono veniente dall’alto, che deve essere chiesto con grande umiltà; per cui oltre ad essere considerato un alimento indispensabile diventa il segno più eloquente della benevolenza e della presenza di Dio nella vita degli uomini. Ed è Dio stesso, nella Sua Sapienza, a promettere sostegno e vicinanza: «Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che vi ho preparato» (Proverbi 9.5).

Gradualmente il pane diventa segno di condivisione e di benevolenza per tutti, infatti Dio, pur essendo grande, forte e terribile, non usa parzialità e non accetta regali ma piuttosto rende giustizia agli umili, alla vedova, al forestiero e dà loro il pane e il vestito (Cfr. Deuteronomio 10,17). E’ questo un modo per esortare il popolo eletto ad uscire dal’individualismo e dall’egoismo perché tutti siano accolti e sfamati come nel caso dei viandanti di Mamre per cui Abramo chiede a Sara di preparare focacce. E’ giusto accogliere e dare il pane ai poveri e ai forestieri perché senza accorgertene ti può capitare di accogliere Dio stesso. Infatti i tre misteriosi uomini di Mamre agli occhi di Abramo si rivelarono presenza divina, e le diverse interpretazioni successive, alla luce del Nuovo Testamento, hanno sempre visto in quei tre uomini angelici una prefigurazione del mistero della Santissima Trinità[1].

Il profeta Eliseo fu il primo a offrire i pani per sfamare la gente - c’è ne fu così tanto da farlo avanzare (2Re 4,42seg.). Geremia invece ne parla come segno escatologico, legato alla fine dei tempi, quando vi sarà abbondanza di grano, olio, mosto, pane e piena consolazione (Geremia 31, 12). Tutti questi riferimenti ci danno prova che da sempre nelle liturgie ebraiche il pane ha avuto un riferimento privilegiato. Se pensiamo al valore attribuito dal libro dell’Esodo (Es.12, 15-20) poi, il pane diventa simbolo della Pasqua e sarà pane azzimo, in ricordo della liberazione dalla schiavitù del’Egitto, quando la fretta di uscire  impediva alle massaie di far fermentare la pasta.


[1] Particolare in questo senso è la celebre Icona di Andrej Rublëv:  La Trinità o Ospitalità di Abramo” realizzata negli anni intorno al 1422, conservata presso la Galleria statale di Tret'jakov a Mosca. Il dipinto raffigura proprio  la scena descritta in Genesi 18, 1-8.

don Alfonso GIORGIO



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