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Gioia, Pace e Coraggio per essere più umani e veri Cristiani
Mt. 26,14-27, 66
La Domenica delle Palme o della Passione con una solenne liturgia ci introduce nella settimana più importante della cristianità: la Settimana Santa. Con Gesù anche noi entriamo in Gerusalemme attraverso quella porta, da cui Lui è passato umilmente cavalcando un’ asina. C’è un’omelia antica che dà un ‘interpretazione molto originale dell’evento è di Bernardo di Chiaravalle:
«nel giorno delle Palme, nel corteo che accompagna il Maestro e i discepoli giù dal monte degli ulivi, c’è chi canta, chi applaude, chi fa ala e stende i mantelli, chi agita rami di palma: un giardino che cammina. Chi più vicino a Gesù, chi più lontano. Ma tutti contenti. C’è però un personaggio che fa più fatica di tutti, anche se è forte, anche se è il più vicino, ed è l’asina con il suo puledro (Matteo 21,2), su cui hanno steso i mantelli, su cui è salito Gesù. Chi sente tutto il peso di quell’uomo da portare su per l’erta che sale dal torrente Cedron verso il tempio e si stanca, è l’asina. È la più vicina a Gesù eppure quella che fa più fatica».
Così può capitare anche a noi dopo che ci siamo avvicinati al Signore o quando facciamo fatica, quando sentiamo il peso della fedeltà a Vangelo, forse questo accade proprio perché siamo molto vicini al Signore, stiamo portando lui con noi e insieme tutto il peso del Regno sopra di noi, l’importante però è non demordere perché alla fine c’è la Santa Gerusalemme che ci aspetta.
Conosciamo bene i fatti e sappiamo che tutto il popolo inneggiava al Messia lo accolsero come un re, con i canti, con il flettere dei rami degli ulivi e stendendo i mantelli. Quel continuo oscillare festoso dei rami, quel tripudio, quella gioia che accompagnò l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, in una forma rituale ma non per questo inefficace, viene ripresa dalla liturgia mentre osannano al figlio di Davide, al tempo stesso, si insinua una grande contraddizione, poiché quello stesso popolo che acclamava, ed era in festa per la venuta del Messia, proprio perché lo aveva così riconosciuto e accolto, subito dopo diventerà omicida.
Perché il popolo inneggia alla crocifissione? Perché esalta il male? Perché si lascia condizionare? Beh, possiamo dire che queste contraddizioni, questo alternarsi di bene e male, di luce e tenebre, - se siamo onesti con noi stessi - sono in ciascuno di noi e che noi dobbiamo fare anche, in qualche modo, i conti con noi stessi quando ci accingiamo a vivere i misteri della fede, poiché dobbiamo riconoscere che siamo impastati di peccato, che siamo creature fragili e che anche noi possiamo ritrovarci nella situazione di coloro che prima hanno osannato, prima lo hanno riconosciuto come il Messia, magari ci sono stati anche accanto, come gli apostoli, come i discepoli e poi lo hanno tradito, lo hanno rinnegato, come ha fatto persino Pietro.
In questa settimana vengono tolti i veli e viene fuori l’uomo con le sue contraddizioni. Tutto questo accade proprio in questa settimana, la più Santa tra tutte perché ci mette in quello che è il mistero centrale della nostra fede: Gesù crocifisso, morto e risorto per noi.
Con il racconto della Passione, che viene da secoli proclamato nella liturgia, alla fine veniamo posti proprio dinanzi al volto martoriato del Crocifisso. Su quel calvario e vediamo anche le sue braccia che, sebbene inchiodate e distese, vogliono esprimere il supremo atto di amore per l’umanità, in un abbraccio irrevocabile, per cui non vi è più bisogno di passare una porta poiché è attraverso quelle braccia aperte che vengono spalancate le porte del Paradiso, per sempre.
Quelle braccia esprimono la dilatazione del cuore lacerato. Nuovo inizio per ogni uomo, nuova occasione di salvezza per tutti perché l'amato si sviluppa e prende forza proprio dalle ferite del cuore di chi lo ama. Noi tutti battezzati in Cristo insieme a tutta l’umanità nasciamo da lì, da quel cuore trafitto, da quell’effusione di sangue ed acqua, simboli della Chiesa nascente.
Va anche ricordato che nel clima contradittorio di festa per l’ingresso di Gesù in Gerusalemme e di tristezza per il sopravvenire della Passione, l’oscillare continuo dei rami di ulivo e delle palme, in questo giorno solennissimo, ci rimanda anche a quel desiderio di pace che è nel cuore di ogni uomo, quel desiderio, in fondo di essere in pace con se stessi, con gli altri e con Dio, quella pace che dobbiamo invocare, che riteniamo importante invocare, soprattutto in questo tempo segnato dalle guerre, tutte le guerre che compongono una sorta di “guerra mondiale a pezzi” così come la definisce Papa Francesco. Mai come in questo giorno, dunque, sentiamo forte questo anelito di pace, soprattutto per quelle persone che soffrono di più.
In questo contesto liturgico – spirituale mi viene in mente uno scritto di don Tonino Bello, che esorta il costruttore di pace ad avere il coraggio di proclamarla, di invocarla, mettendo insieme pace e coraggio ci vuole dire che bisogna essere fermi e rimanere fedeli fino in fondo, pronti anche a subire le conseguenze di certe verità che disturbano e non avere paura di dire sempre con parrèsia come stanno le cose, anche quando le Sue parole rovinano la digestione dei potenti..



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