"Dammi un po' di acqua da bere" (Gv. 4,7)

Pubblicato: 20/04/2022

Ecumenismo spirituale per una Chiesa in uscita

"Dammi un po' di acqua da bere" (Gv. 4,7)

Quest’anno il tema scelto per la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani  è “Dammi un po’ d’acqua da bere” (Gv 4,7) e la redazione dei testi è stata curata dal gruppo ecumenico del Brasile. Come è noto, in Brasile, nonostante i gravi problemi sociali ed ecclesiali, sono soprattutto i laici a determinare, in modo creativo e sorprendente, i percorsi di incontro e di comunione nella Chiesa e tra le differenti chiese (realtà ecclesiali). Per questo vorrei offrire, qui, il mio contributo, proprio a partire dall’esperienza della mia diocesi di appartenenza che, attraverso le iniziative laicali, ha dato molto impulso al lavoro ecumenico.

Bari per vocazione si caratterizza come una città aperta al dialogo e all’accoglienza dei fratelli cristiani della altre chiese. Tutto ciò è confermato dalla presenza cospicua di comunità ortodosse, nonché protestanti, oltre che dalla presenza delle reliquie di S. Nicola, méta di molti pellegrini dall’Oriente.

Se stiamo al tema biblico di quest’anno possiamo affermare che la Chiesa di Bari vuole essere una Chiesa che, uscendo da se stessa, oltre ad assaporare l’acqua da diversi pozzi, vorrebbe offrire un po’ della propria agli altri, senza avere la pretesa di esclusività. Una “Chiesa in uscita”, infatti, non può starsene ferma, chiusa in se stessa, deve andare per strada, incontrare gli uomini e le donne del nostro tempo, accogliere e sentirsi accolta, dialogando, amando e sperando sempre in una comunione piena e profonda nel nome di Gesù.

Gesù chiede alla Samaritana l’acqua, perché ha sete e ha bisogno dell’altro, esce sulla strada, si fa straniero, nel deserto, nella calura del mezzogiorno e vorrebbe attingere ad un pozzo che appartiene al popolo della donna. Mentre il Signore ci dà quest’esempio, molti cristiani, invece, ritengono di essere gli unici a possedere le risposte e di non aver bisogno di alcun aiuto. Se mantenessimo questa prospettiva, non cresceremmo mai e perderemmo molto. Nessuno di noi può raggiungere la profondità del pozzo del divino da solo. Abbiamo bisogno dell’aiuto dei nostri fratelli e delle nostre sorelle in Cristo.

Sullo sfondo, senza dubbio, troviamo un modello ecclesiologico che ha riscosso il consenso di molti teologi: una Chiesa-comunione, sgorgante dalla vita trinitaria di Dio,

Il lavoro ecumenico si inserisce proprio in questa dinamica di comunione che viene dall’alto, dalla Trinità, come una realtà in cammino, un’esigenza, ma anche una realtà presente e all’opera. 

Poiché la missione della Chiesa è intimamente collegata al disegno trinitario della salvezza[1], la comunione non riguarda solo la gerarchia, ma anche i laici, né solo l’unità necessaria nei mezzi di grazia, ma anche l’unità nella quale la vita cristiana deve svilupparsi e accogliere gli effetti di grazia. La comunione, quindi, è una realtà presente, una modalità di vita, ma anche un traguardo da perseguire. Il cammino ecumenico della Chiesa cattolica, quindi, ha radici molto lontane.

Uno dei più grandi sostenitori della necessità di un dialogo tra le Chiese separate era Yves Congar. Il famoso teologo nella lunga prefazione a Crétiens en dialogue. Contributions catholiques à l’oecuménisme del 1964, scriveva:

«Il servizio all’ecumenismo non è mai stato esclusivo per me […]. Molto presto ho capito che l’ecumenismo non è una specialità e che richiede un movimento di conversione e di riforme attuate in contemporanea al cuore di tutte le Co­munioni. Ho capito nello stesso tempo che, per ciascuno, il lavoro ecumenico è necessario in casa propria. …per unani­mità possibile con gli altri, nella linea di una fedeltà più profonda e meglio onorata alla nostra unica Sorgente e alle nostre sorgenti comuni»[2].

Congar, infaticabile animatore di relazioni interconfessionali e settimane di preghiera per l’unità dei cristiani, non perderà mai il profondo desiderio di incontrare i fratelli delle altre confessioni, né di lodare coloro che, a vario livello, partendo proprio dai vissuti di fraternità laicale, si cimentavano nella preghiera e nell’azione per implorare da Dio il dono della comunione.

Il servizio all’ecumenismo è un’attività connaturale allo stesso cammino di Fede di ogni cristiano. Non ci si può abituare a vivere gli uni senza gli altri, gli uni opposti agli altri, è necessario riconciliarsi con i fratelli prima di offrire la propria offerta all’altare.

La Chiesa, dopo non poche difficoltà e censure nei confronti del teologo, accetterà molti dei suoi contributi; anzi, i maggiori documenti conciliari saranno direttamente elaborati da Congar.

Con i pronunciamenti del Concilio Vaticano II l’attenzione ecumenica è inserita in diversi documenti, ma il decreto Unitatis Redintegratio indubbiamente apre un capitolo decisivo nell’impostazione del dialogo ecumenico. Le parole iniziali che danno il titolo al documento stesso, partono da una considerazione di fondo: la ricerca dell’unione quale motivo primario dell’intero concilio, perché costituisce motivo di scandalo il fatto che i credenti in Cristo percorrano vie diverse:

«Il ristabilimento dell’unità da promuoversi fra tutti i cri­stiani e uno dei principali scopi del sacro sinodo ecumenico vaticano. Da Cristo Signore infatti la chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo; tutti si professano di essere discepoli del Signore, ma la pensano diversamente e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso»[3].

Il decreto auspica che la preghiera diventi  l’anima di tutto il movimento ecumenico che, a giusta ragione, può chiamarsi “ecumenismo spirituale”, e considera “desiderabile” che i cattolici si associno nella preghiera ai fratelli separati.

Nella diocesi di Bari-Bitonto le attività ecumeniche, istituzionali, spontanee o organizzate dai vari gruppi di laici, sono la conseguenza di un percorso di recezione piena delle istanze conciliari.

Con questi convincimenti Mons. Enrico Nicodemo (arcivescovo di Bari dal 1952 al 1973), prendendo parte ai lavori del Concilio, intervenne più volte nella discussione e in particolare in ordine all’ambito ecumenico, affermando il 21 novembre del 1963:

“Siamo profondamente persuasi - che l’impegno ecumenico, assieme al compito pastorale e all’opera missionaria, sia uno degli scopi principali del Concilio Vaticano II, da cui moltissimo dipenderà l’aggiornamento della Chiesa”[4].

In un suo commento al decreto sull’Ecumenismo[5], il vescovo ribadisce la necessità di un serio cammino di “rinnovamento” e una “conversione interiore[6] prima di avviare qualsiasi attività ecumenica.  Riporto qui il suo intervento, ancora molto attuale perché ci rimanda all’essenziale: la preghiera e la conversione del cuore.

«L’esercizio dell’ecumenismo da parte dei cattolici suppone … due condizioni necessarie: un rinnova­mento, che consista nell'accresciuta fedeltà della Chiesa alla sua vocazione, e la conversione interiore di tutti. L’interiore conversione, unita alla preghiera, forma quello che il Decreto chiama l’ecumenismo spirituale»[7].

Quali prospettive per il dialogo tra la Chiesa Cattolica e le diverse chiese?

Al di là delle sottili divergenze di carattere dottrinale e giuridico, rimangono molti interrogativi per il futuro della comunione tra le Chiese.

Alla luce della proposta biblica di questo anno si può solo confermare che il cammino dell’unità tra i cristiani protestanti, ortodossi e cattolici è difficile, è lungo e faticoso, ma non è impossibile, perché niente è impossibile a Dio. Più cresciamo nell’unità e condividiamo i nostri secchi e uniamo le nostre corde, più profondamente attingiamo al pozzo della Grazia di Dio perché c’è un ecumenismo spirituale cui tutti siamo chiamati. Nessuno ci impedisce la gioia di pregare insieme ad altri fratelli, nella fede, appartenenti ad altre Chiese.  


[1] Cf. LG, n.2 in EV 1/285;  AG, n.2 in EV 1/1090: «La Chiesa pellegrinante è missionaria per sua natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il progetto di Dio Padre».

[2] Mia traduzione direttamente dal testo originale in   francese; Y.Congar, Appels et cheminements, 1929-1963, in Chrétiens en dialogue. Contributions catholiques a l’oecuménisme [Unam Sanctam 50], Le Editions du Cerf, Paris 1964, 31.

[3] UR in EV 1/1/494.

[4] E. Nicodemo, Intervento circa il cap. I schematis De Oecumenismo, in “Acta Synodalia Sacrosancti Concilii Vaticani II”, Congregatio generalis LXXII, Città del Vaticano 1973, vol.II, pars V, 684.

[5] E. Nicodemo, Commento al Decreto sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano II, Ecumenica Editrice, Bari 2004, 9-10.

[6] Il tema della conversione interiore è molto caro al Vescovo Nicodemo. Egli stesso diventa un “modello” di conversione e adattamento a quella che chiamava “era nuova”. Andrea Riccardi lo definisce: “modello di vescovo meridionale”, protagonista di una “conversione” conciliare, Cf. A. Riccardi, Vescovi d’Italia. Storie e profili del  novecento, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2000, 75.

[7] E. Nicodemo, Commento al Decreto sull’Ecumenismo…cit., 22.

don Alfonso GIORGIO



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