L’emergenza educativa investe la sicurezza nazionale.

Pubblicato: 15/04/2022

In Italia dovrebbe essere la madre di tutte le battaglie

L’emergenza educativa investe la sicurezza nazionale.

Andrea Gavosto, Direttore della Fondazione “Giovanni Agnelli”, ha tenuto una lezione sull’emergenza educativa al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri.

Gavosto ha iniziato la lezione richiamando il rapporto statunitense Nation At Risk che nel 1963, in piena guerra fredda, evidenziava la necessità di una riforma del sistema scolastico. Infatti, si considerava una questione di sicurezza nazionale la qualità della formazione della futura classe dirigente e dei cittadini, riferimento imprendibile di uno stato democratico.

In riferimento all’Italia, le classifiche sulla qualità dell’istruzione ci collocano in coda ai paesi europei per quel che riguarda i risultati degli studenti nelle conoscenze di base, il livello di ragionamento scientifico, il tasso di abbandono scolastico, il numero dei giovani che non studiano e non lavorano.

In questo scenario preoccupante, ci sono differenze profonde tra Nord e Sud, dove si presta maggiore attenzione al conseguimento del titolo di studio più che sulle reali conoscenze acquisite.

Pertanto, ha ribadito, “è preoccupante lo stato di scarsa competenza nazionale e il pronunciato divario educativotra Nord e Sud, che impatta direttamente e in profondità sull’assetto sociale, economico, politico, mettendo in pericolo la sicurezza nazionale poiché mina alla radice i valori costituzionali della democrazia. Infatti, una popolazione istruita rappresenta una risorsa fondamentale, poiché più alto è il livello di educazione scolastica e più ricco è il paese”. 

Il Direttore ha continuato dicendo che “un piccolo aumento nell'istruzione può fare aumentare la percentuale del PIL di circa 5 punti su un lungo arco di tempo, riflettendosi sul miglioramento degli stili di vita. Inoltre incide sulle differenze tra nord e sud: la vera ingiustizia sociale è quella geografica, in quanto nessun paese ha differenze così marcate a livello educativo come l’Italia. Infatti nel paese c’è una quadro molto variegato che contempla scuole di assoluta eccellenza, come nel Trentino, e scuole come quelle della Calabria e della Sicilia che sono in fondo alle graduatorie europee. La scuola perpetua e accentua le differenze di partenza”.

Gavosto ha evidenziato che i veri nodi sono la scuola media, dove si abbassa moltissimo il livello di apprendimento e si ampliano le differenze sociali, e l’istruzione professionale, dove si concentrano i ragazzi più deboli e il tasso di abbandono è altissimo, pari al 20 %”. 

Il docente ha ricordato che "l’Italia spende poco per l’istruzione, pari al 3,5% del PIL e investe veramente poco nell’istruzione universitaria, meno di 1% del PIL”. Ha quindi ribadito che a livello universitario il sistema definito del “3+2”, laurea triennale e laurea specialistica,è molto discusso tanto che per alcuni corsi si pensa di ritornare al percorso a ciclo unico.

Per quanto attiene il rapporto tra docenti e studenti, ha evidenziato che è di 1 a 10, uno dei più favorevoli al mondo, confermando il ruolo di ammortizzatore sociale dell’istruzione, privilegiando l’erogazione di stipendi alla qualità degli apprendimenti. 

Il Direttore della Fondazione Agnelli ha proseguito sottolineando che ”uno studio americano sostiene che un lavoro su due sarebbe destinato a scomparire sostituito dai robot. Ma alcuni lavori manuali non sono sostituibili dalle macchine per cui il sistema di istruzione dovrebbe valorizzare la manualità, la creatività e l’intelligenza sociale. Non sono materie di corsi di studio ma sono legate al trasferimento di un metodo di relazioni sociali”. 

Secondo Gavosto se ci si orienterà in tale direzione “l’apocalisse robotica non ci sarà, poiché lo sviluppo tecnologico distrugge lavori ma ne crea di nuovi. E tra i lavori che rimarranno ci saranno in gran parte quelli degli insegnanti”. 

A riguardo, ha rilevato che gli stipendi degli insegnanti italiani a inizio carriera, sono metà di quelli tedeschi ma nono distanti dalla media Ocse: il problema è che la progressione avviene solo per anzianità e non in base al merito. Così come va rilevato che ci sono ancora 200.000 docenti precari che insegnano senza essere abilitati. Occorre allora creare una carriera per i docenti che si impegnano di più, in modo da conferire alto prestigio sociale con una retribuzione più elevata.

Invece oggi abbiamo un corpo docente anziano. Durante il Covid l’Italia è stata uno dei paesi che ha fatto peggio, con meno ore di scuola e lunghi periodi di Dad, come in Campania e Puglia. In un periodo così lungo di interruzione della scuola si disimparano molte cose. Si è misurato che durante la pandemia nelle scuole in italiano e matematica si è perso l’equivalente di 5 mesi di scuola, una ferita che questa generazione si trascinerà per tutto il percorso scolastico e universitario.

Tranne pochissimi casi, anche online si è perpetuato l’insegnamento trasmissivo tradizionale, poiché molti docenti non erano preaprati a fare una didattica diversa. Questo evidenzia che non è lo strumento telematico il problema ma come esso viene utilizzato. Infatti, occorreva prevedere una formazione di urgenza su come insegnare nelle lezioni a distanza, ponendo in luce che la vera questione è la formazione didattica di chi opera in classe”.

“Occorre intervenire – ha precisato - nei reclutamenti, nella formazione iniziale e in quella in servizio. Potrebbero essere utili dei master post laurea per abilitare le persone all’insegnamento,. La formazione dei docenti è la madre di tutte le riforme”.

Gavosto conclude approfondendo i contenuti del PNRR, dove per le scuole ci sono molti investimenti orientati sull’edilizia e le tecnologie. Pertanto ha concluso “è una partita che va giocata più sulle riforme che sui finanziamenti”.

Dr.ssa Mariagrazia MAZZARACO



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