Elite: classe politica, classe dirigente o minoranza dominante?

Pubblicato: 21/01/2022
Elite: classe politica, classe dirigente o minoranza dominante?

Di classe politica se ne parla fin dall’800 con Gaetano Mosca che vede nella classe politica una minoranza che esercita il potere, che ne ha il monopolio in contrapposizione ad una maggioranza che si conforma ed obbedisce. Una minoranza dominante, che in nome di quel potere gode di numerosi vantaggi leciti o illeciti, morali o immorali…un potere oligarchico, di pochi dunque, attenzionato nella circolazione dell’élite da Pareto piuttosto che da Michels o da Weber.

Ma quali sono i criteri selettivi per far parte degli élitisti? La risposta è presto data dal dott. Lorenzo Ornaghi, già Ministro della Cultura dal 2011 al 2013 intervenuto all’XI edizione del Master in Intelligence organizzato dall’Università della Calabria e diretto dal Prof. Mario Caligiuri.

“Nella classe dirigente a volte si comprende la classe politica altre volte la si esclude considerandola in contrapposizione latente alla prima” esordisce Ornaghi.

“In uno scenario in cui tutti sono concorrenti e dove gli alleati non sono sempre amici e spesso gli amici non sono alleati”, interviene il prof. Mario Caligiuri, l’obiettivo della classe dirigente è il perseguimento dell’interesse nazionale. Concetto politico, fa notare Ornaghi, risalente al periodo settecentesco quando si comincia a parlare di nazione.

L’interesse è il sovrano del mondo per dirla con Montesquieu. L’interesse non mente e se si conoscono gli interessi della controparte si è capaci di calcolarne e valutarne le mosse future. “Un interesse nazionale della collettività guidato dalla Ragion di Stato dove lo Stato viene prima della nazione”, continua il già Ministro. Il pensiero ciceroniano di interesse nazionale quale interesse circoscritto alla nazione si estende con San Tommaso che lo qualifica bene comune.

Perché il governo è dei pochi? È con la rivoluzione francese che si accentuano quei meccanismi rappresentatiti elettivi che accelera le trasformazioni già in atto ai tempi della Magna Carta.

Alla fine dell’800 con l’allargamento della pressione per avere sempre maggiori elettori, rilevante diventa il ruolo della massa, della folla studiata ed individuata quale strumento di turbamento dell’ordine costituito da Le Bon. Dalla ribellione delle masse si passerà alla fine del ‘900 con Lash alla ribellione dell’élites.

Ma come si entra a far parte della classe politica si interroga Ornaghi.

Calandoci nella realtà odierna si può affermare con forza che l’Italia ha sempre sofferto di un’anomalia storica in cui pare che la classe politica abbia corso parallelamente a quella dirigente economico-sociale e non in una prospettiva comune che guarda lontano. Anche se nella storia degli ultimi 40 anni il ceto politico, sempre più arroccato alle poltrone (dirà Naim nella sua visione di trasformazione del potere trasfusa nella contingenza del momento che il potere politico è più facile conquistarlo, ma è ancora più facile perderlo ed è ancora più difficile mantenerlo), dove il metodo della cooptazione a scapito della passione, della vocazione, della chiamata weberiana, della lungimiranza, della responsabilità dell’uomo politico, della educazione politica più profonda e non da ultimo della formazione, la fa da padrone, ha registrato lo svuotamento del mandato fiduciario che cede il passo al mandato imperativo che, nelle democrazie nazionali si esprime sempre più in una rappresentanza istituzionale legata all’ufficio che propenderà verso la pericolosa ritirata dello Stato non più garante dell’interesse nazionale quale bene di tutti e per tutti. Insomma una classe politica che resta dinanzi ad una classe dirigente che passa conclude Ornaghi.

Dr.ssa Mariagrazia MAZZARACO



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